Sin dagli Anni ’60 la Porsche 911 possiede uno stile unico. Ma c’è stato un momento in cui la Panamericana era pronta a stravolgerla.
Tetto fuori dall’ordinario
Con il prototipo, mostrato al Salone di Francoforte, si voleva “svecchiare” la linea della 911. Esclusa sin dal principio una produzione di serie, il management ha valutato di renderla una limited edition. Alcuni dettagli richiamavano i dettami stilistici della Casa, quali il muso lungo, la forma circolare dei fari e la linea del tetto spiovente che si “adagia” sulle ruote posteriori. Un fascione con la scritta “Porsche” univa dietro dietro i fanali, come avveniva negli Anni ’80. Il tetto aveva doppia natura: una parte costruita in tessuto impermeabile, un’altra in materiale plastico trasparente; removibile, faceva apparire la Panamericana un incrocio tra una “cabrio” e una “targa”.
Porsche Panamericana, che spunto!
Che la produzione in tiratura limitata fosse una concreta ipotesi lo deduciamo anche dal fatto che la Panamericana era perfettamente marciante. Montato posteriormente, il motore era un sei cilindri da 253 CV abbinato ad un cambio manuale a cinque rapporti. Come invece intuibile dalle dimensioni generose delle pneumatici, la trazione era sulla quattro ruote, quasi da fuoristrada. Non tradivano neanche le prestazioni, degne di una Porsche. L’accelerazione da 0 a 100 orari richiedeva soltanto 5,8 secondi, mentre la velocità massima si attestava a 260 km/h.
Corpo in fibra di carbonio
Numeri importanti, dettati da scelte progettuali assai all’avanguardia per l’epoca. Per contenere il peso venne infatti costituita l’intera struttura in pannelli di fibra di carbonio. Presupposti che lasciavano presagire performance su strade ottimali. Con ogni probabilità erano spettacolari, basti pensare che la realizzazione venne decisa da Ferry Porsche, il figlio del fondatore Ferdinand Porsche, in occasione del suo 80esimo compleanno. Da quel Salone di Francoforte se ne persero tuttavia le tracce.