Si tratta di una delle situazioni più temute e probabilmente spiacevoli che possono capitare nella vita di un automobilista o di un motociclista. E’ il famigerato fermo amministrativo, una procedura di “recupero crediti” possibile per diversi enti pubblici – in primis l’Agenzia delle Entrate, ma anche Enti Locali e Inps ciascuno in merito ai tributi di competenza, comprese le eventuali multe comminate in relazione ad infrazioni al Codice della Strada – che permette all’ente stesso di rivalersi in caso di debitori “morosi” su un “bene mobile registrato” il quale, lo capirete, si identifica fin troppo facilmente con un’auto o una moto iscritte al Pubblico Registro Automobilistico. La messa in atto della procedura è facoltà dell’Ente creditore ed ha la importantissima e “sinistra” caratteristica di non richiedere la commisurazione del bene “fermato” con il credito effettivamente vantato, per cui può anche capitare di aver bloccata una vettura a causa di un debito di un valore decisamente inferiore ad essa. Anche per questo, il fermo amministrativo si configura come una eventualità piuttosto antipatica che, in generale, è meglio evitare pagando il dovuto. Che, anche civicamente parlando, è il miglior metodo di prevenzione.
Fermo amministrativo: competenza, procedura e legittimità
Come detto, la disposizione del fermo amministrativo è di competenza dell’ente pubblico creditore che, per recuperare il proprio credito, mette in moto Equitalia, il soggetto deputato alla riscossione dei crediti notificati. Quest’ultima procede alla notifica della cartella esattoriale mediante invio con raccomandata e a fronte della quale il contribuente moroso ha sessanta giorni di tempo per regolare la propria pendenza e, in questo caso, chiude a vicenda. Scaduti questo primo termine di pagamento, Equitalia può procedere con il fermo amministrativo che però deve essere preceduto da una notifica di preavviso, obbligatoria per legge e senza la quale il fermo si configura come illegittimo e può quindi venire impugnato. La procedura differisce a seconda del valore del credito: intanto il valore minimo è quello di 50 euro, al di sotto del quale il fermo non è utilizzabile. Se il debito è compreso fra i 50 ed i 500 euro, la notifica di fermo deve essere accompagnata da un sollecito di pagamento, mentre fra i 500 ed i 2000 basta la sola notifica. In questi due casi può essere fermato un solo veicolo intestato al contribuente. Nel caso di debiti superiori – in genere fino ai 10.000 euro, soglia oltre la quale vengono adottate misure diverse come quelle sugli immobili – possono essere fermati fino a 10 veicoli. Il fermo può coinvolgere anche veicoli cointestati con procedura “subita” dal cointestatario terzo al contenzioso. Il fermo non ha alcuna prescrizione.
Fermo amministrativo: conseguenze, sanzioni e cancellazione
Ricevuto il preavviso, il debito può essere estinto con un ulteriore termine di 20 giorni, trascorso il quale il fermo viene registrato nel PRA. La conseguenza diretta è l’impossibilità del veicolo di circolare, divieto che segue anche la eventuale vendita, cosa che rende per il compratore necessario verificare lo stato del veicolo presso il PRA, magari attraverso la “visura” della targa. La sanzione per chi circola con un veicolo in fermo amministrativo dai 714 ai 2.859 euro, oltre alla confisca del veicolo stesso. Anche la cancellazione del fermo amministrativo è disposta da Equitalia e, come è ovvio, avviene a valle dell’estinzione delle somme dovute per cui il fermo era scattato. Effettuato il pagamento, Equitalia ne comunicherà l’avvenimento entro 20 giorni all’Agenzia delle Entrate della zona e questa, a sua volta, avrà ulteriori 20 giorni per comunicare al contribuente l’avviso di cancellazione. Con questo, il proprietario della vettura deve recarsi presso gli uffici del Pubblico Registro Automobilistico e chiedere la cancellazione, ottemperando a tutte le necessità amministrative del caso nonché pagando tutte le spese della pratica. La cancellazione viene sancita con l’emissione di un nuovo certificato di proprietà.