Vent’anni dopo Imola e gli incidenti di Ayrton Senna e Roland Ratzenberger, la Formula Uno chiude la stalla quando i buoi sono già scappati. Proprio come nel 1994 quando i due incidenti mortali fecero fare enormi passi avanti sul fronte della sicurezza dei piloti, anche l’incidente di Jules Bianchi a Suzuka potrebbe aprire la strada a dei cambiamenti sul fronte della sicurezza. Un ripensamento sui propri errori che poteva (e doveva) essere fatto prima.
Le polemiche sul mancato ingresso della safety car
Le critiche piovute addosso alla Fia e al direttore di gara, Charlie Whiting, sono concentrate soprattutto su un singolo punto: se la safety car fosse entrata in pista molto probabilmente Bianchi non sarebbe andato lungo alla curva 7 del circuito di Suzuka. Il regime di doppia bandiera gialla è un invito alla prudenza ma soltanto nel setore in cui sono esposte, i piloti quindi spingono al massimo finché possono per non perdere terreno e poi frenano bruscamente. Se fosse entrata la safety car, la gara si sarebbe di fatto annullata e tutti avrebbero rallentato. L’ingresso della macchina dei commissari è a discrezione di Whiting e quest’anno l’interpretazione sui casi in cui farla entrare o meno sono stati altalenanti: in pista per dei detriti fuori dalla pista a Singapore, rimase ai box con la vettura di Sutil sul rettilineo (ed era quasi in traiettoria) del gp di Germania. Per questo occorre introdurre una norma che risolva questa eccessiva discrezionalità.
Come cambierebbe il regolamento
Adesso la Fia ha aperto un’inchiesta su quanto è accaduto e il presidente della Fia, Jean Todt, si è detto disponibile a modificare il regolamento in modo da non avere dubbi su quando far uscire il mezzo. L’idea è di copiare dalla Formula Indy statunitense: se c’è un incidente o un mezzo di soccorso è in azione, la pacecar (così si chiama la vettura americana) entra in pista, a prescindere dalla pericolosità del punto in cui si trovano le macchine incidentate.
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